Manrico Marinozzi:
l'antico fascino dell'arte

Alvaro Valentini

[dal volume: Manrico Marinozzi, l’antico fascino dell’arte, Pollenza, Settembre 1984]

Il cuore antico rivive in chiare e fresche immagini di primavera. Di bianco, azzurro, verde e giallo s’ammanta la natura. Veli di ombra cangiante, riflessi di luce radiosa. Le chiome degli alberi si stagliano ondeggianti al cielo, dove i gabbiani volano fra i cirri portati dal vento. Sullo sfondo marine tremolanti, solcate da leggendari vascelli. In primo piano s’intrecciano scene di aulica e pastorale presenza mentre le acque dei garruli ruscelli sembrano riecheggiare dolci fiabe e mirabili fantasie del tempo andato. Sulla terra scende melodioso il silenzio e dal gioco fluttuante di luci e di colori sgorga zampillante un idillio di poetica sublimazione.

È l’incanto dionisiaco di una realtà oggettiva sempre più ideale, in cui si fondono in lirico concerto ancestrali memorie e recondite aspirazioni dell’uomo proteso verso un mondo di candore e di innocenza. Perché sui sentieri di ritorno del tempo si ritrova la genesi della vita, il principio di ogni creazione.

"Paesaggio roccioso", olio su tela, cm 75 x 115.

È l’Eden perduto che riaffiora dal profondo inconscio attraverso il processo di visualizzazione, geneticamente sempre attivo, e che si configura in opere artistiche di assoluto rilievo estetico, dove la tesorizzazione neoclassica del bello ideale dischiude nuove, suggestive esperienze creative. In questa dimensione il concetto del sublime si pone come esigenza dei segreti moti dell’animo verso lo spazio infinito. Anelito riflesso dell’eterno presente.

Ogni immagine allora, fresca e luminosa, diventa un inno di gioia che scandisce il suo canto in armonia con l’universo. Sono accenti di lirica naturalezza che caratterizzano l’intera espressione artistica, evocata nel suo graduale divenire da Manrico Marinozzi, pittore e scultore di talento, interprete eccelso del fascino dell’antico.

Questo culto del passato, in particolare gli autori più celebri del ‘600 e ‘700, dai fiamminghi ai veneziani (Canaletto, Ricci, Guardi), dal Pannini al Lorenese, da Hubert Robert al Porpora, da Salvator Rosa allo Zuccarelli, rappresenta una costante culturale che informa ed esalta il suo splendido paesaggismo, ricco di valori cromatici e luministici, dove nell’atmosfera di purezza aleggia un senso di viva stupefazione.

In tutta la sua opera si sentono vitali ed inconfondibili i fermenti estetizzanti di un’epoca che è fasto, grandiosità, luce e colore, come pure si avvertono gli influssi dell’Umanesimo e del Rinascimento, due stagioni in perfetto equilibrio che fanno da saldatura al processo di recupero e di rielaborazione artistica delle opere antiche attraverso principi e canoni che richiamano la Poetica di Aristotele.

Manrico Marinozzi, sostenuto da una vocazione autentica, si muove su questo terreno a lui congeniale e con la sapienza propria dei maestri del passato raggiunge con la sua arte vertici di assoluta perfezione stilistica. Molto vasta la sua produzione iconografica, dove realtà e fantasia si fondono in una simbiosi palpitante di effetti figurali e paesaggistici di stupenda rappresentazione storico-ambientale.

Manrico Marinozzi in una foto giovanile.
"Oppure, immerso nella campagna in fiore,
scruta i fenomeni e il divenire della natura
cercando di carpirne i segreti..."

La sua tensione è tutta tesa alla ricerca appassionata ditemi elevati ed universali che rivelino una armoniosa rispondenza fra ideazione ed immagine, fra contenuto ed espressione. Il valore intrinseco del messaggio discende proprio dall’estro creativo, dalla capacità demiurgica dell’autore, sempre incline alla reinvenzione dell’arte del passato con il pensiero e lo spirito di chi opera in piena libertà e autonomia.

"I miei dipinti - affermava Marinozzi - non sono riproduzioni di capolavori. Da un maestro del ‘600 prendo un motivo e lo rielaboro secondo il mio stile e la mia ispirazione". Una verità inconfutabile, perseguita in ogni momento con coerenza e rigore morale. Ed è proprio qui il segno tangibile della grandezza dell’uomo che per la sua alta tensione artistica e spirituale merita di essere recuperato alla cultura contemporanea.

Il cammino artistico di Manrico Marinozzi non è stato facile, soprattutto agli albori, quando l’esigenza di continuità della tradizione, classica ed artigiana insieme (la bottega di restauro e decorazione del padre Remo), concedeva limitati spazi all’inventiva. Allora, lui bambino, si rifugia nella vecchia soffitta e qui, in silenzio e solitudine, trascorre intere giornate a disegnare e dipingere.

Oppure, immerso nella campagna in fiore, scruta i fenomeni e il divenire della natura cercando di carpirne i segreti. Ammira estasiato i cieli azzurri e luminosi, i tramonti tenui e rosati, i prati verdi e profondi, quelle atmosfere lievi e infinite, mentre l’osservazione cede lentamente il passo a sensazioni ed emozioni stupefacenti.

A poco a poco il suo ingegno acuto e versatile riesce ad imporsi, sperimentando con successo ogni campo dell’arte. Restaura, intaglia, intarsia, ridona alle opere antiche la freschezza primitiva, si dedica alle decorazioni ed agli affreschi con il suo stile piacevole e raffinato che esalta le architetture dei palazzi gentilizi.

La sua formazione artistica è in continua crescita e fondamentale si rivelerà l’esperienza acquisita in bottega, dove ogni tela, ogni oggetto antico custodisce nell’intima essenza un patrimonio inestimabile di cultura e di arte. Un lavoro duro, assiduo, paziente ma prezioso e tenace come una goccia d’acqua che alla fine il suo foro nella roccia riesce a praticarlo. Una attività che per i suoi contenuti ed i suoi alti valori culturali assurge a vera arte.

Giovanissimo, Marinozzi scopre per naturale inclinazione la scultura e saranno momenti straordinariamente fecondi e significativi. Modella e scolpisce con estrema facilità conseguendo prestigiosi riconoscimenti in mostre nazionali. Ogni materia, sia legno, creta, marmo e bronzo, si piega docile al plastico virtuosismo di una mano ferma ed agile che sforna opere di gran pregio, permeate da una profonda sensibilità e da una squisita grazia ellenistica.

Celebri sono le due statue in bronzo (Cristoforo Colombo e Dante Alighieri) che adornano la facciata della chiesa di S.Antonio in Pollenza. L’espressione forte e volitiva del grande navigatore ligure fa da contrasto al tormento ed alla profonda spiritualità del sommo poeta. Particolarmente eleganti poi alcuni bassorilievi e testine in terra cruda. La Vergine con il Bambino, realizzata in noce, è un capolavoro di leggiadria plastica. I lineamenti delicati del volto sembrano illuminati da una tenue, impercettibile tristezza.

"Fiori", olio su tela, cm 65 x 50.

Stupende le altre sue sculture in legno (fiori, immagini sacre e profane), dove l’esigenza di bellezza e di armonia si accompagna sempre ad effetti di morbidezza e sognante spiritualità. Nell’opera scultorea di Marinozzi la materia sembra perdere il suo peso ed il suo volume per giungere a vibrazioni dinamiche di intenso lirismo.

Ma con gli anni giovanili si stempera anche l’interesse per la scultura. Nel suo animo diventa sempre più incontenibile il "sacro fuoco" della pittura. Ed ecco, via via nel tempo, stupende nature morte, fiori rigogliosi, delicate figure di adolescenti, ruderi rinascimentali, marine cariche di presagi e di storia, e tanti paesaggi incantevoli che si dilatano sugli ampi spazi dove l’armonia degli elementi compositivi e strutturali produce fremiti fluttuanti di estasi contemplativa, quasi la terra s’imbeva della luce immacolata di una stella.

In questa visione di beltà naturali tutto pare muoversi in muto, ricorrente ritmo verso una musica antica. Idillio suggestivo e un po’ romantico che si riversa nel grembo del tempo senza fine e che riesce quasi ad imprigionare il sentimento pieno della natura animata dal respiro cosmico.

Nella sua poetica delle immagini si può cogliere di volta in volta la classicità del Canaletto, il gusto scenografico di Marco Ricci, quello luministico del Lorenese, la spazialità dello Zuccarelli, il naturalismo di Hubert, l’estro visionario del Magnasco, la logica della fantasia del Guardi evocata dai suoi "capricci".

Ma in Marinozzi si ritrova soprattutto una pittura ad ampio respiro lirico, permeata di armonia e di bellezza, dove si sente il tocco magico di una pennellata, ora agile e morbida, ora rapida e brillante. Una pittura che al di là dei riferimenti iconografici è soprattutto spontaneità e immediatezza, equilibrio della composizione, accordo fra uomo e natura.

"Fiori", tempera su tavola, cm 70 x 50.

Nei suoi dipinti l’effetto spazio-luce-colore trascende la realtà oggettiva e i paesaggi appaiono come trasfigurati dagli effetti luministici e atmosferici in continua evoluzione formale, dalle velature in trasparenza che danno tono e smalto al campo visivo, dal colorismo ricco e suadente, mediato sulla scala di vivaci contrasti chiaro-scurali, dove i ritmi timbrici si fanno più nitidi e intensi, sprigionando quel senso di poetica sublimazione.

Nella sua vicenda artistica l’esigenza di una espressione più libera, ma sospesa sempre tra soggettività e obiettività, tra logica e fantasia, tra invenzione e ricerca, lo conducono a svincolarsi, nelle pause del suo lavoro, dai modelli tradizionali. Vengono così alla ribalta, nel raccoglimento della bottega mai abbandonata per lidi più ambiti, opere pittoriche moderne, ricolme di felice intuizione, dove appare nitida l’impronta di un estro creativo sempre più sorprendente e inconfondibile.

Non più quindi una pittura di studio, preziosa e spettacolare, ma una pittura semplice e naturale, per alcuni versi en plain air, secondo la lezione propria degli Impressionisti. In questa sua nuova fase, la più personale e originale, Marinozzi affronta i temi più svariati (fiori, frutta, figure, paesaggi, interni) ed allora ogni cosa, anche la più comune, assume la freschezza di uno spettacolo di prima rivelazione. È indicativo il dipinto Le panchine, dove l’elemento compositivo è soprattutto la luce: per il suo librarsi leggero nell’aria, per il suo omogeneo trasfondersi entro i morbidi pigmenti del colore, per la sua capacità di farsi, tra istinto creativo e ideazione nostalgica, vero strumento di emozione lirica.

O, come la serie innovatrice sui paesaggi "lunari", immagini incomparabili che svettano in uno spazio sconosciuto, aperto verso l’infinito. Sono ritmi fuggenti di un mondo lontano, immerso in una atmosfera di sognante trepidazione, quasi fuori dal tempo, dove si accentua l’incanto di misteriosi silenzi. L’intera opera pittorica di Marinozzi è un palpito di armonia e di poesia. Il sublime fascino dell’antico si accompagna sempre a fremiti di gioiosa primavera. Il vibrare, ora lieve, ora intenso, di sequenze euritmiche di luce e di colore, richiama in superficie questo sentimento pieno della natura, che ispira ed esalta la sua arte in un contesto di viva stupefazione.

Ma dietro l’apparente piacevolezza delle sue opere c’è una commozione muta e solenne, nell’eleganza delle composizioni c’è una spiritualità sottile e sognante. Un silenzioso lirismo si innalza dalle sue tele e in un’estasi suggestiva e canora eleva l’animo alla contemplazione. E, lassù negli spazi infiniti, si sente più vicino il soffio impalpabile dell’eterno.


E-mail: gesunuovo@yahoo.it

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