Testimonianze su raccolte da Elisabetta Nardi |
Testimonianza di Don Decio Cipolloni
Considero un dono averlo conosciuto agli inizi degli anni settanta, quando parroco a Serra San Quirico (Ancona), mi recavo per ministero a Castelplanio, dove Carlo giovanissimo già animava la vita parrocchiale.
Emergevano le sue qualità di intelligenza, di semplicità, dal linguaggio mordente, lo sguardo penetrante, essenziale, senza tentennamenti e senza manierismi, carico di ideali e di prospettive, privo di effimero, ma pieno di vivacità e di umorismo.
Gli bastò conoscere l’iniziativa delle vacanze estive per i disabili di Porto Potenza Picena (Macerata), che nel 1976 con i giovani di Serra San Quirico facemmo nella casa parrocchiale, per venire ed immergersi in essa con spirito di donazione, con una capacità di approccio tanto naturale quanto semplice, lontano dalla tentazione di un innato pietismo, che facilmente può prenderci. Metteva tutti a suo agio, senza ombra di protagonismo, né di gratificazione.
Ho capito già allora come avesse profondamente chiaro dentro di sé il senso della giustizia nella difesa dei deboli, dei poveri e degli emarginati, sentendo il bisogno di battersi per una società più giusta, denunciando l’indifferenza dei più, soprattutto il perbenismo che aleggiava nella nostra gente, pur bisognosa di stimoli e di proposte.
Rientrato a Castelplanio, non gli parve vero mettere in movimento tutto il paese, dagli amministratori al parroco, ai giovani, perché questa piccola e chiusa realtà paesana uscisse allo scoperto, aprendo come aveva fatto a Serra San Quirico le porte ed il cuore agli amici di Porto Potenza.
Costituisce allora il gruppo "Solidarietà" vincendo, come sempre avviene, i dubbi e le riserve di molti, dovuti anche al contesto conflittuale in cui si viveva in quegli anni, aperti agli opposti estremisti.
Castelplanio diventa un centro di accoglienza, di spiccata solidarietà, di emergente umanità. Ne ero testimone anch’io quando Carlo mi invitava a vivere con loro questa straordinaria esperienza, che può ben definirsi" il vangelo della Carità".
Quel seme di amore per i piccoli, per i poveri, per i malati, è stato seminato nel suo cuore, insieme ad una fede autentica, grazie alla sua famiglia ricca di sapienza e di altruismo. Così si apre ad orizzonti più ampi, rivelando a tutti lo spirito profetico che lo spinse a varcare i confini della solidarietà paesana, per entrare nel vasto mondo della malattia, laddove ingiustizia e miseria sommergono popolazioni intere.
Il tratto di strada percorso insieme a lui agli inizi del mio ministero sacerdotale ha segnato di grazia il nostro comune impegno, consentendoci di poter entrare più da vicino nelle pieghe della sofferenza umana per scorgervi il volto luminoso e sofferente del Cristo crocifisso, che negli ultimi istanti della sua drammatica fine ne accolse il suo eroico gesto di amore.
Fu grande e consolante la gioia di benedire le sue nozze, testimone di quanto il servizio ai malati aveva ricamato Carlo e Giuliana in un amore profondo e in una comune intensità di vedute e di aspirazioni. Così potrà far vivere alla famiglia i suoi entusiasmi e le sue avventure umanitarie, imprimendo nel cuore dei figli l’amore per tutti.
Al premio Nobel per la pace che ricevette a nome di "Medici senza frontiere", vorremmo unire quello per la carità, perché ad essa ha affidato il cuore, l’intelligenza, la sua missione di sposo, di padre, di medico.
Testimonianza di Germano Santoni
Volentieri scrivo questa testimonianza su Carlo Urbani, il quale ha dato la sua vita per salvare molte vite umane, non solo dal morbo della SARS, ma anche da tante altre malattie ugualmente mortali. Io sono uno dei tantissimi che ha salvato dalla morte. Mi presento sono un ragazzo di 30 anni, il mio nome è Germano Santoni, ho avuto il piacere di incontrare Carlo nel lontano 1994 a Macerata, nel reparto malattie infettive, dove il 4 ottobre dello stesso anno, mi diagnosticarono una tremenda malattia: l’AIDS.
Il primo incontro con Carlo per me fu traumatico, perché mi si avvicinò e mi disse: "Caro Germano, oggi dobbiamo parlare insieme della tua vita, so che sei un ragazzo di 19 anni, ma voglio conoscere altre cose di te. Sei cattolico? Hai fede in Gesù Cristo? Vuoi iniziare un nuovo cammino nella tua vita insieme a me? Mi ritieni un tuo amico? Ora devi aiutarmi anche tu, vedrai, il Signore ci aiuterà a superare questa fase, sei d’accordo con me?" Io annuii a tutte le sue richieste, ma dubitavo un po’ di lui, non capivo dove volesse arrivare.
Poi aggiunse, "Ora seguimi, andiamo a fare due passi insieme, ma non preoccuparti, io sono tuo amico e voglio essere sicuro che possiamo fidarci vicendevolmente, entriamo nel mio ufficio… io lo chiamo così! Inizio con il dirti che potrà non piacerti, quello che so è che ho un dovere verso di te come medico. Ormai credo che ci possiamo dire tutto, non è vero? Allora come tu ben sai nella nostra vita spesso e volentieri avvengono cambiamenti repentini a cui dobbiamo saper porre rimedio immediato. Così dovremmo fare noi due insieme.
Sarò franco con te perché lo meriti assolutamente, però mi devi promettere che lotteremo insieme in questo cammino irto di difficoltà. E’ arrivata l’ora di spiegarti la situazione, qui ho le tue risposte del test HIV e purtroppo è…positivo!"
Lui cercò di rassicurarmi, ma io iniziai ad imprecare, perché non si può avere l’AIDS a 19 anni! Scoppiai a piangere, Carlo mi si avvicinò e disse: "Sfogati pure figlio mio!" Mi abbracciò e mi strinse forte a lui facendomi coraggio. Mi accompagnò da una sua collega psicologa ed insieme mi riportarono alla ragione e mi tranquillizzarono.
Lui mi disse che dovevo star sereno perché non mi avrebbe mai abbandonato al mio destino. A quel punto sentii che dovevo fidarmi totalmente di Carlo. Egli mi accompagnò al reparto e mi fece assegnare una stanza. Mi spiegò tutti i compiti all’interno della mia stanza e quali fossero i comportamenti da ottemperare per agevolare il compito di tutti i sanitari. Mi lasciò solamente dopo essersi accertato che io avessi capito ogni cosa.
Durante il ricovero Carlo mi fece fare tutti gli accertamenti per determinare la causa del contagio, a me sconosciuta. Nonostante l’impegno profuso, Carlo non riuscì a scoprire la possibile causa. Da quel giorno iniziò un rapporto favoloso con lui, il quale mi diceva che presto o tardi, insieme, avremmo superato tutte le difficoltà iniziali. E così fu fino alla mia dimissione dal reparto malattie infettive.
Prima che fossi dimesso, Carlo mi disse: "Vai, la vita fuori ti aspetta e ricorda che tutto si può superare insieme. Io sono con te". Ci stringemmo la mano, lui mi diede un colpetto sulla spalla e io me ne andai.
Rincontrai Carlo nei controlli successivi ed ogni volta mi incoraggiava a lottare, a tener duro. Fu lui a darmi la notizia, nel 1996, dell’efficacia dei nuovi farmaci antivirali. In quell’ occasione Carlo mi annunciò la sua intenzione di partire per aiutare altre persone nel mondo. Nel 1997 lasciò l’ospedale di Macerata per aderire all’associazione "Medici senza frontiere". Da quel giorno non lo incontrai più. Nel 2001, quando mi ammalai gravemente e divenni cieco, lo feci rintracciare telefonicamente, per sapere se fosse a conoscenza di qualche terapia idonea a risolvere il mio problema. Lui mi consigliò di assumere un farmaco di ultima generazione, chiamato "Kaletra".
Oltre al farmaco, per superare quel tremendo momento, mi affidai anche alla preghiera. Di lì a pochi giorni, superai la crisi acuta della malattia e scampai alla morte certa. In quei tragici momenti, mi ritornavano spesso alla memoria le sue parole che erano un continuo invito a lottare senza paura. Carlo aveva infuso in me il coraggio di vivere e di affrontare la malattia. Lui era sempre al fianco di noi ammalati ad incitarci a vivere con grande volontà per superare i momenti bui che inevitabilmente la malattia ci presentava. Carlo affermava che l’aspetto psicologico è fondamentale e che bisogna sconfiggere l’indifferenza e la paura della gente verso l’AIDS.
La speranza e la fiducia che mi ha trasmesso Carlo, mi guidano nella vita e mi aiutano a superare gli ostacoli che mi si presentano ogni giorno, mi danno la forza di andare avanti e di lottare per i miei diritti e per quelli degli ammalati come me.
Quando Carlo morì io ero già sulla sedia a rotelle e non vedente. Sento vivo Carlo dentro di me e mai morrà nel mio ricordo. Io gli devo la vita e prego per lui ogni giorno e lo immagino già in Paradiso nella schiera dei beati.
Rendo pubblica questa mia testimonianza per infondere il coraggio che Carlo mi ha trasmesso a tutti coloro che si trovano nella mia stessa condizione.
Testimonianza del Dott. Riccardo Grifoni, di "Medici senza frontiere"
Erano gli ultimi mesi del 1998 , mi trovavo in Kenya presso una missione dei padri della Consolata, che con le suore del Cottolengo di Torino gestivano un dispensario, a Mukothima, nella regione del Taraka, una delle più povere dell’intero paese. Ero giunto lì dopo altre esperienze sempre nel campo del volontariato e sempre come medico in Bosnia, Kenya , Brasile, Ecuador .
Ricordo che era una calda e bella serata africana, illuminata dalla vivida luce di una luna che solo in Africa sembra avere quella bellezza. Il rumore di sottofondo del generatore non mi impediva di leggere alla luce di una lampadina - fuori della mia stanza - un testo di medicina che mi ero portato dall’Italia.
Mi stanco del testo e cerco di leggere qualche cosa di diverso, prendo allora una rivista che ho trovato nella stanza dove tutti assieme di solito consumavamo il pasto serale, la rivista si chiama "Missioni Consolata" ed è quella dei padri di cui ero ospite. Sfogliando le pagine arrivo alla rubrica "L’angolo del medico" , naturalmente mi fermo e leggo. Si trattava di un articolo sulla schistosomiasi, una malattia molto frequente nei paesi in via di sviluppo, che causa seri problemi alle vie urinarie. Al termine dell’articolo leggo il nome dell’autore: Dott. Carlo Urbani, Malattie Infettive dell’Ospedale di Macerata , presidente di MSF (Medici senza frontiere) Italia .
Carlo non lo conoscevo, e vi lascio immaginare il mio stupore misto a gioia considerando che io sono nato ad Ancona, lavoro presso l’Ospedale Geriatrico di Ancona come urologo e da sempre il mio sogno era stato quello di poter conoscere qualche collega che facesse parte di "Medici Senza Frontiere". Non avrei mai potuto immaginare che invece proprio lì lavorava addirittura il presidente della sezione Italiana, a due passi da casa mia, nella mia stessa regione!
Decisi dunque immediatamente che lo dovevo contattare e se possibile parlargli. Fu così che al mio ritorno in Italia una mattina di gennaio del 1999, dopo una notte di guardia in ospedale, presi il telefono e chiamai il reparto di Carlo; non conoscendolo per niente e non sapendo che tipo di persona fosse, mi presentai dandogli del lei, cosa che lui mi disse di abolire immediatamente. Gli spiegai un po’ che cosa fosse accaduto e come avevo avuto il suo recapito e chiesi se ci si poteva vedere nella maniera che fosse a lui più comoda. Ricordo che mi disse che il giorno dopo sarebbe dovuto partire per qualche giorno per Bruxelles proprio come presidente di MSF Italia, ed allora lui stesso mi propose se per me andava bene quello stesso pomeriggio nel suo ospedale, dove se non vi fossero state urgenze particolari avremmo potuto parlare quanto volevamo.
Alle 14 partii e dopo circa un'ora fui nel suo studio. La cosa che mi colpì subito fu il suo calore umano e la sua semplicità, aspetti questi che per me, sia come persona che ancor più come medico, sono essenziali. Iniziammo a parlare delle rispettive esperienze fatte in varie parte della terra, le ore passarono senza che ce ne accorgessimo ed alla fine erano circa le 19.
A questo punto ricordo che lui stesso mi disse: "…Ma tu perché non provi a fare domanda per entrare a fare parte della sezione italiana di Medici Senza Frontiere? abbiamo bisogno di gente come te!" Risposi se fosse sicuro di quel che mi proponeva, perché per me arrivare a MSF era realizzare un sogno che mi portavo dietro da anni, da quando al secondo anno di medicina vidi in TV un servizio sull’opera di MSF in Africa: vedendo quei colleghi e la loro capacità pensai che sarebbe stato bello e per me impossibile poter arrivare a quei livelli di professionalità nell’esercitare il proprio mestiere. Carlo mi disse "Ma se non lo fai tu! chi deve farlo? con la tua esperienza… con la tua voglia di fare…"
Ci salutammo entrambi contenti di aver fatto la conoscenza di un’altra persona che condivideva l’amore ed il sacrificio per malati che spesso non hanno più nulla e sono abbandonati da tutti. Ricordo che preparai tutti gli incartamenti da presentare e poi nel luglio del 99 venni chiamato a Roma per la selezione.
Ad Agosto del 1999 ricevetti la comunicazione che c’era una missione per me, immediatamente pensai ad un paese africano invece… Afghanistan!… Rimasi un po’ stordito da quel nome perché non lo immaginavo , allora quel paese non compariva mai né sui giornali né in televisione … Ricordo che chiamai subito Carlo , anche lui fu felice della mia prossima partenza , ci vedemmo ancora, feci conoscenza con la sua famiglia e diventammo ancora più amici .
Ricordo che durante la mia missione ci scambiammo diversi messaggi di posta elettronica , ed al mio ritorno arrivai a casa sua portandogli in dono il Pacol, il caratteristico copricapo afgano. In quella occasione mi comunicò che se ne sarebbe andato viva dall’Italia perché chiamato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Ero felice per lui, ma mi dispiaceva molto perché non avremmo più avuto molto tempo per raccontarci le nostre esperienze, vissute in posti dove è difficile curare e vivere, ma in cui invece siamo andati cercando di guarire e far vivere decine e decine di persone, o a volte cercando di aiutarli solo a morire, ma in forma più dignitosa ed umana e non dimenticati da tutti.
Ecco, da quell’incontro è cambiata la mia vita, nel vero senso della parola, perché dopo l’Afghanistan vennero altre missioni con MSF ed un'altra ne sta per venire, divenni vice-presidente della sezione italiana di MSF, ma quello che non posso e non potrò mai dimenticare è come tutto questo nacque, come cambiò la mia vita dopo aver fatto la conoscenza - in un giorno di gennaio del 1999 - di una persona che porterò per sempre con me, nel mio cuore.
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