Itinerario spirituale di Santa Scorese - 4

Giuseppe Micunco

Lettere prima del Diario * Diario: fino agli esami di Maturità (2) * Dalla Maturità fino alla fine del Diario (2) * Dalla Maturità alla fine del Diario (3) : Santa e la santità - I problemi sociali - La famiglia - La persecuzione - Gli studi - La salute * Dalla Maturità alla fine del Diario (4) * Lettere dopo il Diario

Dalla Maturità alla fine del Diario (3)

Santa e la santità

Come amare il Signore, o meglio, come rispondere con fedeltà al suo amore, è la sua primaria preoccupazione. Come camminare verso la santità: "Aiutami Madre ad imitarti come modello di santità. Ti chiedo di essermi vicina e di vegliare su di me e di farmi capire dove sbaglio e come rimediare. Sarò molto esigente, ma sento il bisogno di santificarmi perché mi sento ancora troppo piena di umano"; e "giocando" sul suo nome: "A volte penso che veramente anche il mio nome è qualcosa che Dio ha voluto dare a me perché contribuisse alla mia santità".

I problemi sociali

Il Diario, in questa seconda parte, non si occupa di molto altro. Si ha l'impressione che non esista, o quasi, un mondo esterno. Non ci sono riferimenti a fatti sociali, politici, di cronaca (ce n'erano di più nelle prime Lettere e nella prima parte del Diario). Ne fa uno solo, ad una manifestazione politica cittadina per Benedetto Petrone (il giovane di sinistra ucciso a Bari nel 1977 per motivi politici), a cui vede partecipare un suo compagno di scuola, e lo fa, comunque, per notare con rammarico come si possa combattere per un ideale politico, e non per il vero Ideale, Cristo: "Lui non lo condanno - dice del compagno - perché sente l'esigenza di un ideale, di qualcosa di grande in cui credere e combatte per questo solo che è un ideale e non l'Ideale... Penso che se quei giovani impiegassero le loro energie per portare al mondo il Vangelo, molta gente si salverebbe ed è un vero peccato che i giovani sprechino così le loro energie".

C'è ancora qualche riferimento alla sua attività, mai peraltro interrotta, di assistenza sociale (alla Casa di riposo; ma sappiamo che assiste anche famiglie in difficoltà; è sempre pioniera della Croce Rossa). Vi ritroviamo sempre la stessa Santa poco sentimentale e paternalistica, che non è lì per fare "la buona azione": "Di fronte a quella sofferenza così tangibile, ma nello stesso momento, così nascosta, umanamente mi sono sentita impotente e mi sono detta che se ero lì non era perché volevo fare la mia buona azione quotidiana, ma volevo essere lì per la gloria di Dio e di Maria".

Anche nell'azione sociale, dunque, vede una missione religiosa; cosa che non la rende rassegnata e remissiva, anzi, è sempre la solita Santa battagliera: una vecchietta è stata investita da un motorino davanti all'ospizio e i soccorsi hanno tardato ad arrivare, e lei reagisce: "Ho visto così come si può far morire un uomo senza che gli altri si importino di cosa accade. E stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ho capito che comunque non si muore o meglio non ti lasciano morire solo fisicamente, ma gli altri, quelli che ti stanno attorno, ti fanno morire dentro. Oggi ho visto davvero la morte sui visi di quegli anziani, rinchiusi in quel maledetto ricovero dove fanno più loro che gli assistenti"; nella stessa pagina del Diario registra, quasi in continuità di reazione, l'ingratitudine di un anziano più fortunato, anche qui senza mezzi termini: "E poi dopo un'esperienza così a cosa ti tocca assistere? Ad una scenata isterica di un nonno isterico egocentrico, megalomane solo perché una figlia gli ha preparato la torta per festeggiare il suo compleanno" e gli augura: "Dovrebbe solo starci un po' di tempo in quel posto orrendo e si renderebbe conto delle grazie che il Signore gli dà".

Anche qui il riferimento è al Signore; interessanti, come al solito, le sue considerazioni sulla morte, soprattutto, direi, quella sulla morte "dentro" che gli altri ti procurano, al di là di quella che ti può cogliere fisicamente; interessante anche per le considerazioni che faremo più avanti sul martirio di Santa. Anche, però, se questa tensione rimane, è come se fosse diminuita l'attenzione interiore per tale attività: tutto ormai Santa considera 'sub specie aeternitatis'.

Università di Bari. Dopo un primo anno in Medicina, Santa Scorese scelse la Facoltà di Sociologia
e ne seguì i corsi con ottimo profitto,
fino al momento del martirio.

La famiglia

Ci sono frequenti riferimenti alla situazione in famiglia, alla generosità e ai sacrifici affrontati dai genitori per sostenerla agli studi (si è iscritta a Medicina: i libri costano e il padre ha dovuto contrarre un debito ENPAS), al loro affetto, un affetto che può rischiare, a suo parere, di trasformarsi in possessività; già per i "grossi sacrifici" per l'acquisto dei libri nota: "non devo sentirmi fortemente in debito nei loro riguardi, perché se loro lo fanno è per amore e l'amore è gratuito" (crede evidentemente alla gratuità dell'amore dei genitori, ma teme anche che ne possa venire qualche condizionamento per la la sua libertà di scelte); lo dice più chiaramente in un'altra pagina del Diario, con un discorso che si allarga dai genitori a chiunque altro: "Ma non si rendono conto che più fanno così, che più cercano di legarmi (con qualsiasi scusa) e più io mi distacco da loro? Sono fatta così. Quando l'affetto diventa possesso io scappo. Io non sono fatta per essere posseduta da affetti umani: mi imprigionano troppo!"

Ed è chiaro che non è, la sua, mancanza di affetto per i genitori, ma amore primario e totale per il Signore, al quale già tutta appartiene: "Ho sempre, fin da piccola, sentito quest'esigenza di libertà negli affetti e credo che questo non sia male, perché se non avessi fatto così non sarei mai riuscita a dire il mio sì totale a Dio. Solo a Dio ho dato la possibilità di gestirmi come vuole anche se tante volte il mio io si ribella, ma so che questo prima o poi dovrà tacere per sempre. Solo a Dio ho permesso di prendermi tutta perché Dio è Libertà e quindi non ci sono costrizioni". E il Signore l'ha davvero presa tutta, prima nello spirito e nella vita, infine nella morte.

Parla delle difficoltà opposte dai suoi alla sua scelta di consacrazione, dei tentativi fatti per dissuaderla, delle nuove difficoltà che potrebbero venire dal matrimonio della sorella Rosa (per la quale dimostra sempre un gran bene) (41), ma da quello che leggiamo comprendiamo che molto altro Santa avrebbe potuto annotare e considerare nel Diario; non lo fa, e, direi, non tanto e soltanto per comprensibile discrezione (sia pure in un Diario riservato, che non pensava di far leggere ad altri) e per sincero affetto per i suoi: per essi non ha mai parole dure, vorrebbe anzi che comprendessero e la accompagnassero con dolcezza nella sua vocazione: "Il desiderio più grande ora, a parte quello di capire bene la mia strada, è che il Signore dia un animo sereno a mamma e papà, ma in particolare a mamma, che penso non sopporterebbe bene la mia scelta di essere missionaria"; crede con fede che il Signore li aiuterà: "se sono così pazza da rischiare la vita per Cristo, vuoi che non lo sia ancora di più nel credere che sistemerà lui tutto?"

Non lo fa soprattutto perché il problema non è quello: lei è preoccupata di mettere il Signore al primo posto, e così tutto passa in secondo piano. È tanto entrata nella logica di lasciare tutto, di amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta se stessa, di prendere la sua croce e seguirlo, da dare anche a questo aspetto della sua vicenda personale solo la giusta preoccupazione che la cosa richiede.

Comprensibilmente, peraltro, pur nell'affetto per chi l'ha generata alla fede cristiana, guarda con maggiore attenzione a quanti l'hanno rigenerata ad una vita di amore più intenso e radicale per il Signore: i vari padri spirituali, Chiara Lubich, le compagne Gen e missionarie, soprattutto Carmencita. Verso Carmencita, "amica, sorella, madre", finisce addirittura col nutrire un sentimento di gelosia, come un figlio che si senta talvolta trascurato per altri: "Ultimamente ho sofferto molto perché avevo colto una certa indifferenza da parte di Carmencita nei miei confronti... Lei non si era accorta di farmi così male e voleva togliersi dalla mia vita per non intralciare il mio cammino..."; ma poi Carmencita le ha detto: "Se tu mi consideri maestra e madre, sappi che io ti sento mia figlia" e Santa esulta: "Che bello Signore! Tu mi ami a tal punto da darmi una madre che mi ha generato nello spirito e il mio cuore si riempie di gratitudine".

Questo non diminuisce, ripeto, il suo affetto per la famiglia, di cui è anzi preoccupata, che ha dispiacere di lasciare, anche quando sa che se ne deve staccare per le esigenze del Vangelo e di un amore più grande.

La persecuzione

Il fatto che sia presa totalmente dal Signore le fa mettere in secondo piano anche la persecuzione ossessiva da parte del maniaco che alla fine la ucciderà, e che vorrebbe, e tenta concretamente, di usarle violenza.

Le due uniche pagine di Diario in cui ne parla sono di una forte drammaticità e dicono con chiarezza l'orrore e il terrore da lei sperimentati, ma il problema per lei non è nemmeno questo; persino il giorno della morte minimizza e quasi scherza: "Al più - disse ai suoi amici ironizzando un po' - male che vada, chi posso incontrare a quest'ora: G.?!", racconta Carmencita, che aggiunge "Sì, proprio G. avrebbe incontrato!". Davvero il suo spirito è rivolto al Signore.

Nella pagina del 6 febbraio 1989 subito annota con orrore: "Credo e spero che un'esperienza così non si ripeta mai più nella mia vita. È stato tremendo!! Non so nemmeno se ho la capacità di scrivere quello che provo tanta è la confusione, lo scoraggiamento che ho dentro. Oggi G. il matto, ha cercato di usarmi violenza. Mi ha prima detto che ero morta, e poi mi ha sbattuto per terra e lui cercava di baciarmi. Che sensazione orribile!! Ho urlato con tutta la voce che avevo, con tutta l'anima, ma nessuno mi ha sentita".

Ed ecco che la soccorre la sua fede: "Ho invocato Gesù dicendogli che non poteva lasciar fare e ho chiamato Maria. Per fortuna pare che loro mi abbiano ascoltata e così ho cercato di liberarmi da quel pazzo che mi teneva stretta e sono andata alle missionarie. Non ricordo bene quello che è successo lì, ma ricordo che qualcuno mi ha aperto la porta e ho visto Carmencita. Mi sono aggrappata a lei e sono scoppiata in pianto".

Dove non possono gli uomini, possono Gesù e Maria, e in questa luce Santa considera la vicenda; dice che è forte il suo "desiderio di morire" e ancora rivive l'esperienza del Getsemani: "Non capisco perché si sia arrivati a tanto, perché, Gesù, tu permetti questo. Ho provato a immaginare te sulla croce, a completare la tua passione col mio dolore (42), ma non riesco: mi chiedi troppo! In questo momento mi sembra assurdo il Vangelo. Come, come faccio a dare la mia vita così? Sento che le mie forze vengono meno e che queste prove sono fin troppo grandi! D'altra parte sarei una cieca a non ammettere che oggi tu eri lì e tu Maria, Madre, non mi hai abbandonata nemmeno per un secondo. Ma mi chiedo: perché tutto questo".


Il semplice tavolo da studio di Santa Scorese. Tutto è rimasto come quando ha lasciato la sua camera quel pomeriggio del 15 marzo 1991, non sapendo di andare incontro al martirio, alla testimonianza fino al sangue della sua fedeltà a Cristo. Per la foto è stato posto sul tavolo, aperto, il grosso quaderno contenente il manoscritto del Diario. Accanto si nota uno dei libri preferiti da Santa, che per questo teneva sempre a portata di mano: il "Gabbiano Jonathan Livingston" di Richard Bach.
[Foto di Egidio Ridolfo s.j.]

E ancora, nella non comprensione umana dei fatti e della volontà di Dio, la soccorre la fede: "Solo Lui mi resta, mia roccia, mia potente salvezza, mia fortezza (43), e sua Madre, ma anche Gesù, pur sentendosi unito al Padre aveva bisogno dei suoi amici e nel Getsemani ha chiesto loro di stare svegli e parlare con Lui". E conclude: "Ecco, mi sento un po' come Gesù nel Getsemani e vorrei poter trovare la forza di dire come Lui: "Padre allontana da me questo calice, ma sia fatta non la mia ma la tua volontà" (44). Stare nella volontà del Padre. Mi sembra impossibile farlo adesso, ma voglio almeno provarci. Tu sei amore e allora amami!! Spero di dormire anche se prevedo una notte insonne. Chissà, però, che le preghiere di Carmencita non mi aiutino".

Nella totale disponibilità a dare la vita per il Signore (la vedrei soprattutto nella invocazione "e allora amami", e fa di me quello che vuoi, come dice altre volte), non rinuncia ad amare la vita: sarebbe mostruoso il contrario, contro natura; ed è normale che non comprenda come il Signore possa volere questo tipo di martirio da lei.

In una precedenta pagina del Diario Santa aveva pregato con le parole di una preghiera di Robert Kennedy, che tra l'altro diceva: "Mi abbandono, o Dio, nelle tue mani. Gira e rigira quest'argilla come creata nelle mani del vasaio. Dalle una forma e poi spezzala se vuoi... "Sia fatto di me secondo la tua parola". Dammi l'amore per eccellenza, l'amore della Croce, ma non delle croci eroiche che potrebbero nutrire l'amor proprio, ma di quelle croci volgari, che purtroppo porto con ripugnanza". Santa non teme di dare la vita per il Signore, teme una morte violenta e ripugnante, ma si rende conto che questo il Padre ha chiesto anche al suo diletto Figlio, e anche se la sua natura umana si ribella, risponde con l'amore e l'obbedienza alla volontà del Padre.

E allora ella vive questi momenti di persecuzione come prove, come tentazioni: non è un caso, credo, che questo primo tentativo di aggressione avvenga in un momento di particolare ebbrezza dello spirito, in un momento in cui tutto sembra che vada per il meglio; nella precedente pagina di Diario aveva annotato: "Mi hai chiamata ed ho risposto e adesso vedo le grandi cose che hai compiuto e compi in me ogni giorno... Rivedendo ciò che hai compiuto in me lascia che canti il mio Magnificat e con Maria possa incamminarmi sulla strada che conduce alla vita senza fine... Non so nemmeno perché sono qui a scrivere, ma ho dentro una grande gioia perché sento la presenza del mio Signore, e il desiderio sempre più grande di libertà in lui... Grazie per tutto. Grazie perché mi ami!!!"

Santa vede allora nel suo persecutore una tentazione del demonio: poiché siamo soliti leggere nel Diario del suo amore per i nemici, per "chi maltratta e dice male", per chi non la comprende, per compagni anche accesi contro Maria e la chiesa, possiamo restare meravigliati nel leggere della durezza di giudizio nei confronti di G. Il fatto è che Santa non vi vede l'essere umano, ma il demonio stesso, Satana; è come cosciente che agisca in G. un mistero di iniquità, una potenza maligna, e più che sperare in interventi umani (i genitori del giovane, suo padre agente di P.S., le forze dell'ordine) si affida al Signore e a Maria, alla Provvidenza.

È dispiaciuta del fastidio che è costretta a procurare ad altri per tutelarla facendole compagnia durante i suoi spostamenti, che non subiscono variazioni, anzi... Ripeto, però, che non appare dal Diario riguardo a questa diabolica, ossessiva persecuzione una eccessiva preoccupazione. Il suo pensiero è un altro. Sembra, come il Signore Gesù durante la sua passione, un agnello muto davanti al suo tosatore.

Gli studi

Poco o niente scrive sull'università: l'interesse per lo studio, già diminuito, si affievolisce ulteriormente: "In questi giorni ho studiato parecchio, ma mi sembra quasi che non sia più in grado di studiare. Mi riesce difficile stare tante ore seduta e poi... non mi ricordo niente! Forse avrò un po' di esaurimento. Però una cosa mi sembra abbastanza chiara. Studiare medicina richiede molto tempo, sacrificio e passione. Anche se mi sforzo di vedere nello studio la volontà di Dio, mi è molto difficile prenderlo come tale"; "Io tutto sommato sono abbastanza serena anche se mi costa tanto dover mentire a tutti quelli che mi chiedono degli studi" (Santa è per qualche giorno a Muro Lucano, ed è comprensibile che ritenga troppo lungo e difficile spiegare a parenti o persone che vede molto raramente tutta la sua situazione: avrebbero difficilmente compreso qualcosa); anche verso la fine del Diario, quando è ancora indecisa se partire o meno, annota: "Chiaramente non riesco nemmeno a studiare".

Si era iscritta a Medicina, mossa da propositi di impegno sociale, ma la sua preoccupazione principale era subito stata una preoccupazione religiosa, quella di sforzarsi di "mettere Dio al primo posto, di fare tutto per Lui, di amare Lui nei colleghi, nei professori e nei libri". Il suo pensiero è altrove. Pian piano questa scelta le diventa indifferente, anzi, ha da ridire sulla medicina, sulla scienza in genere, sulla presunzione degli uomini, che nulla riescono a concludere, pur pretendendo di saper risolvere tutto, fino a concludere che il vero medico è Gesù, e che solo da lui ci possiamo aspettare un vero aiuto. In occasione della morte della zia Maria annota: "Era stata contenta di vedermi (45) e avrebbe voluto che fossi già medico perché sicuramente l'avrei guarita (così diceva lei), ma poi quando l'ho salutata andando via mi ha chiesto di pregare per lei. Questo mi ha fatto molto pensare.

Mi resi conto, mentre ero in macchina, che non sarei mai in grado di vedere morire la gente sotto i miei occhi senza poter fare umanamente almeno qualcosa. Capii che nessuna scienza può strappare l'uomo al suo destino che è un destino di dolore e di morte fisica. Mi sentii impossibilitata, dal lato umano, ad aiutare un altro essere e capii che veramente l'unica certezza che rimane è Dio. Penso che non riuscirò a diventare medico proprio perché sono convinta che nemmeno cinquanta anni di studio servirebbero a dare delle certezze, delle motivazioni per cui vivere o morire. La mente umana è sempre e comunque limitata.

Credo, però, che potrei essere più un medico delle anime perché io sono sicura che se io ho una certezza che è Cristo, allora soltanto potrò dare qualcosa di concreto in cui credere, per cui vivere, lottare e morire... Penso che queste riflessioni che faccio siano una Grazia per me perché mi fanno acquistare giorno per giorno una libertà interiore simile a quella del gabbiano Jonathan Livingston. E poi sto meditando sulla morte. Non è un pensiero ossessivo, ma la morte di zia Maria mi fa pensare alla meschinità della nostra vita. L'uomo non ha ancora capito che è stato fatto per cieli più alti anche di quello che vede e che la terra non è altro che il solo 'mezzo' per poter conquistare la santità. Ci affanniamo così tanto a guadagnare, ad andare a scuola, a comprare questo o quello, ma così ci vendiamo solo l'anima" (46).

"Dobbiamo imparare a vivere in funzione di Cristo, puntando solo a Lui, non perché abbiamo paura della morte, ma perché dobbiamo prendere coscienza che essa non ci appartiene e se sentiamo che è nostra è solo perché il Signore ce l'ha data e lo ha fatto perché abbiamo la possibilità di santificarci" (Santa Scorese).

Quando arriva la morte non chiede certamente se abbiamo finito di pulire la nostra camera, se abbiamo studiato bene quella lezione, se abbiamo comprato il corredo per i figli: arriva e basta. Più che altro io non vedo la morte come colei che arriva e toglie tutto, ma questo lo vedo come il momento in cui il Signore ti richiama alla Sua Casa e lo fa così come non ti ha chiesto se volevi nascere o no.

Colgo il significato della vita. La vera vita non è questa. Dobbiamo imparare a vivere in funzione di Cristo, puntando solo a Lui, non perché abbiamo paura della morte, ma perché dobbiamo prendere coscienza che essa non ci appartiene e se sentiamo che è nostra è solo perché il Signore ce l'ha data e lo ha fatto perché abbiamo la possibilità di santificarci. Ringrazio il Signore che mi ha dato un cuore e una mente sensibile da poter cogliere (ma non sempre) quello che Lui cerca di dirmi e soprattutto lo ringrazio perché mi parla". Davvero una straordinaria chiarezza che sembra dono dello Spirito; una chiara consapevolezza di essere del Signore, che si viva o che si muoia.

Anche se l'iscrizione alla Facoltà è costata dei sacrifici (l'abbiamo visto) non ha difficoltà, quando il suo spirito ha chiara la strada della consacrazione voluta dal Signore, a vendere un libro di studio; lo vede come un distacco da qualcosa a cui si era troppo legata: "Oggi E. ha manifestato il desiderio di comprare il libro di biologia, e allora ho detto che glielo vendo io e l'ho detto convinta, ma dopo sono rimasta un po' turbata. Vendere i libri e soprattutto venderli (magari) all'insaputa di mamma e papà significa veramente per me (sarà stupido, ma è così) tagliare con una parte del mio mondo. In fondo i libri rappresentano per me una sicurezza, la possibilità di un futuro senza problemi, una realizzazione nella società e io sento che il distacco da questi rappresenta proprio il distacco materiale dal mondo".

Dovendo poi scegliere un'altra Facoltà, pensa contemporaneamente a Biologia, Filosofia... è perplessa anche riguardo ad eventuali studi di Teologia ("Sto pensando anche che forse non conviene che cominci a studiare teologia, ma che faccia il corso di assistente sociale o qualcos'altro di pratico perché se non fosse davvero la vocazione missionaria la mia chiamata io abbia qualcosa che mi possa introdurre nel mondo del lavoro...").

Sceglierà poi Pedagogia, ma non ne farà mai parola nel Diario (47): l'università e lo studio compariranno rarissime volte, in genere come la normalità da vivere nei momenti in cui non ha tutta la chiarezza che vorrebbe sulla sua vita, un po' come Pietro che, dopo la risurrezione del Signore, non ritenendo di avere indicazioni precise o sufficienti sul da farsi, dice ai compagni "io vado a pescare (48). Potrebbe continuare gli studi a Bologna, qualora vi si trasferisse definitivamente in comunità, ma non ci sono problemi a farli anche a Bari... potrebbe farlo per un anno e poi... Non è, ancora una volta, questo il problema: colpisce, nella lettura del Diario, la molto relativa incidenza di tutto questo nel suo cammino spirituale. Era partita con un grande amore per la cultura (il "tesoro") e questo l'aveva aiutata a scoprire la Sapienza; ora ha trovato lo Sposo. Il resto non è che lo disprezzi: sono tutti doni del Signore, ma cosa sono rispetto a lui, per il quale "dare tutti i beni della casa sarebbe disprezzarlo (49)? La sua è dunque una vocazione di totale consacrazione, ma non per una missione esternamente configurata (Medicina o le Missionarie dell'Immacolta "P.Kolbe"'), quanto per testimoniare l'amore, quell'amore che hanno potuto apprezzare e di cui hanno potuto godere le persone che le sono state accanto. E noi che leggiamo questo Diario.

La salute

Scarsi sono anche i riferimenti a qualche problema di salute: è preoccupata per un nodulo al seno: "Poi, in questi giorni ho un bel po' di paura perché ho dei dolori al seno e (sarò anche stupida) io penso subito a male. Ti prego, fa' che non sia niente!! Domani, o al massimo lunedì andrò dal medico (50)". È un timore che da un lato conferma il suo apprezzamento per la vita, per la possibilità di godere dei beni del Signore, che non c'è in lei una passiva rassegnazione alla sofferenza comunque: è una ragazza, è giovane, è piena di vitalità: è giusto che ami la vita. Dall'altro lato colpisce il fatto che ne parli subito dopo aver parlato delle "cose sconce" con cui l'ha infastidita una prima volta G., parole in cui - scrive - "veramente mi sembrava di vedere Satana che tenta"; è come se in entrambi i fatti vedesse delle tentazioni.

Quando ne parla una seconda volta, lo fa ancora in un contesto positivo di apprezzamento per la vita e di dono totale al Signore: "In questo momento mi sto soffermando a cercare di capire il valore della vita e che posto deve occupare Dio nella vita di ciascuno, nella mia vita. L'idea che possa avere un nodulo al seno non mi alletta affatto, ma sto cercando di guardare anche questa esperienza con gli occhi di Dio. Quanto è difficile! Adesso sento tutto il peso della mia debolezza, della poca fiducia in Dio e di tutto il mio orgoglio e spirito di autoconservazione. Di sicuro non avevo messo bene a fuoco il fatto di dover o poter offrire sofferenze, dolori fisici e perfino la morte al Signore. Credo che questa però sarebbe dovuta essere una delle prime cose da mettere in preventivo scegliendo Cristo. Ora capisco che è anche sbagliato avere paura di dare la propria vita, intesa nel senso più attivo della parola (giovinezza, esperienza, piaceri, ecc.), ma forse si dovrebbe avere paura di dare la vita nel senso reale, cioè con la morte. Quante volte il Padre ci parla di Padre Kolbe, ma non mi era entrata proprio denro la sua esperienza: offrire la vita per Cristo".

È straordinario come le riflessioni di Santa, quale che sia il punto di partenza, approdino sempre al pensiero di offrire la vita per il Signore, e fisicamente, non solo spiritualmente, come in questo caso: il riferimento a Padre Kolbe toglie ogni dubbio.

Note:

41. In una Lettera del 29 aprile 1988 a Bruna Casali leggiamo: "Se c'è qualcuno al quale sono particolarmente legata e con cui ho condiviso sempre tutto è mia sorella e sono sicura che sarà lei a sentire di più la mia mancanza e a soffrire di più e io sentirò la sua mancanza".
42. Noto solo rapidamente quanto già notato altrove: come sempre, anche in questo caso, il linguaggio biblico (qui Col 1,24) affiora con naturalezza sulle labbra di Santa.
43.
Anche qui è quasi superfluo notare come Santa preghi naturalmente con le parole dei Salmi, quelle parole che a noi tante volte capita di ripetere meccanicamente nella preghiera, senza che abbiano per noi quella "verità" che hanno avuto per Lei.
44.
Cfr. Mc 14,36.
45.
Era stata a trovarla in ospedale.
46.
È chiaro che Santa ha presente Mt 16,26: "Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?".
47.
Ne fa parola, però, in alcune Lettere di questo periodo (del 15 ottobre 1988 ad Anna Marzano; del 19 gennaio 1989 ad Antonella Bianco).
48.
Gv 21,3.
49. Ct 8,7.
50. Saprà poi dalla visita di avere solo una brachialgia (infiammazione ad un muscolo) e seguirà una terapia (cfr. Lettera ad Anna Marzano del 5 dicembre 1988), ma non ne farà parola nel Diario.

Terza parte Parte quinta

E-mail: gesunuovo@yahoo.it

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